Discussione generale
Data: 
Lunedì, 18 Marzo, 2019
Nome: 
Ubaldo Pagano

A.C.1637-A

Presidente, onorevoli colleghi, l'idea di introdurre una forte misura di contrasto alla povertà, al pari di tutte le democrazie più avanzate, non può che trovarci d'accordo. Quindi, prevengo l'obiezione e riconosco che, probabilmente, abbiamo provveduto troppo tardi all'istituzione di un reddito di inclusione; potevamo farlo prima, potevamo investire più risorse. Però, vorrei sommessamente rammentare a chi mi ha preceduto che quasi la metà di quelle risorse, che mettete a copertura di questa misura, le avete ereditate dal Governo precedente. Per questo abbiamo offerto la nostra totale disponibilità a lavorare su questo decreto, proponendo modifiche utili a renderlo più efficace e a dare risposte concrete al grave problema della povertà nel nostro Paese. Nostro malgrado ci siamo scontrati con tutti i vostri “no”.

Il problema vero di questo provvedimento è che non fornisce le soluzioni che milioni di italiani in stato di povertà o disoccupati si sarebbero aspettati. Siete partiti da una misura di contrasto della povertà e siete arrivati a proporre uno strumento ibrido, che confonde mezzi e obiettivi, propri di politiche profondamente differenti, sovrapponendo la povertà e la mancanza di lavoro. Il risultato è una misura con risorse sottostimate rispetto a quello che voi dicevate e al bisogno reale, tanti obiettivi, ma poche, pochissime possibilità di realizzarli. Dovevate abolire la povertà e avete partorito un provvedimento che non migliora le condizioni dei cittadini in difficoltà, ma le stabilizza.

Volevate aiutare gli ultimi ma ve ne siete andati via, via via dimenticando che siete partiti da nobili intenti, che riconosciamo, ma vi siete persi per strada perché nel frattempo le priorità elettorali hanno scalzato quelle reali. Doveva essere un reddito minimo garantito, uno strumento di giustizia sociale, un modo per dare speranza a chi oggi non ha la possibilità di vivere un'esistenza dignitosa. Avete scritto una legge affinché il beneficio fosse erogato il prima possibile, rimandando a un indefinito futuro le risposte alle tante domande di cui vi eravate fatti carico. Doveva essere una misura di contrasto alla povertà ed è diventata una pseudopolitica per il lavoro. Volevate dare futuro ai giovani ma nel decreto non c'è quasi nulla per aiutarli a investire nella loro formazione, a creare competenze e professionalità richieste dal mercato del lavoro di domani. Volevate dare una prospettiva ai meno fortunati e alle persone fragili ma state dando loro la sicurezza di una condizione stabile di deprivazione economica ed esclusione sociale. Volevate risolvere le storture del mercato del lavoro ma il rischio, con questa legge, è di crearne di peggiori. Dovevate trovare una soluzione al lavoro nero ma la legge quasi non ne fa menzione. Tutto ciò avviene dilapidando un'enorme quantità di risorse pubbliche finanziate a debito - che sia messo agli atti - che pagano i cittadini di oggi e che graveranno sulle generazioni future. Questo provvedimento, dunque, era l'occasione per far fare un passo in avanti a questo Paese in termini di contrasto alla povertà, ma è diventato - e questo è un fatto - l'occasione buona per provare ad accrescere il consenso giusto in tempo per le scadenze elettorali di maggio.

Sono molti, moltissimi gli aspetti deleteri di questa legge. Abbiamo cercato di creare un dialogo nei lavori in Commissione, di cercare la via della collaborazione responsabile, di proporre modifiche che potessero rendere il reddito di cittadinanza una misura efficace. Lo abbiamo fatto con spirito cooperativo e nell'interesse dei tanti cittadini cui questa misura era rivolta. Invece, non ci avete mai dato ascolto, respingendo tutte le nostre sostanziali proposte senza nemmeno prenderle in considerazione e, anzi, facendo in taluni momenti finta di avere a cuore i bisogni di quelli a cui provavate a dare sollievo e, in realtà, andando avanti come dei treni lanciati ad alta velocità.

E, allora, oggi il reddito di cittadinanza, così com'è, è uno strumento che vuole realizzare almeno due obiettivi: il contrasto alla povertà e la crescita occupazionale, obiettivi nobili per carità di Dio e l'abbiamo ripetuto in tutte le sedi e lo ribadiamo per l'ennesima volta. Il rischio, però, che questo strumento si rilevi un fallimento su entrambi i fronti è molto alto perché né si è badato a considerare la povertà nella sua complessità né si danno risposte di carattere strutturale al problema del lavoro. A cominciare dal fenomeno della povertà, non siamo stati gli unici a segnalarvi le gravi mancanze di questo provvedimento e tutti gli auditi durante i lavori in Commissione hanno ribadito le medesime cose: in Italia ci sono oltre 5 milioni di poveri, meno della metà beneficerà del reddito di cittadinanza e moltissimi di questi riceveranno poche risorse rispetto al bisogno reale.

Quanti tra i soggetti ascoltati dalle Commissioni in queste settimane hanno cercato di dirvi che le vostre soluzioni non centrano il punto, non colpiscono al cuore il problema dei cittadini in condizioni di povertà assoluta? Siete andati dritti per la vostra strada coi paraocchi e coi tappi per le orecchie, come al solito peraltro, e avete trattato la povertà come un fenomeno unicamente dipendente dalla mancanza di lavoro nonostante in tanti abbiamo cercato di spiegarvi che la povertà non dipende solo dall'occupazione, che la povertà è un fenomeno estremamente complesso, che assume forme e intensità diverse e che dipende da decine di fattori che molto e spesso nulla hanno a che fare con l'assenza di lavoro. Avete fatto finta di non sentire che molte persone hanno bisogno di cure e assistenza, di politiche sociali, sanitarie, abitative, di un sistema integrato di interventi multidimensionali che si sostanzi in percorsi specifici e personalizzati di cura e di reinserimento sociale. Siete andati ancora diritti per la vostra strada senza accorgervi che così facendo state lasciando indietro davvero gli ultimi, tutti quei cittadini che hanno bisogno e necessità diverse dalla ricerca di un'occupazione e mi riferisco, in special modo, alle donne, ai minori, ai portatori di handicap e ai loro familiari, a tutte quelle persone che si trovano in una situazione dolorosa e che non sono nella condizione di entrare nel mondo del lavoro.

A tutti loro non viene data un'ulteriore risposta: vengono presi e abbandonati nei centri per l'impiego che, nessuno sa come, dovranno cercare di dare soluzione a problemi che nemmeno hanno mai sfiorato.

Pur di abbattere il REI e di issare la bandiera comunicativa del reddito di cittadinanza state smontando un sistema che iniziava a dare i suoi frutti e che è stato faticosamente organizzato coinvolgendo i servizi sociali professionali e gli enti territoriali, un sistema che impiegava migliaia di professionisti del settore socio-sanitario che in questi anni sono stati assunti attraverso procedure a evidenza pubblica, come prevede peraltro la Carta costituzionale, per la presa in carico di tutte quelle persone che oggi dite di voler aiutare.

Da domani tutto quello sforzo diventerà inutile e quelle migliaia di professionisti si avvieranno a un futuro incerto. Il significato di questa scelta è piuttosto chiaro: ossessionati dalla comunicazione, avevate la necessità che il reddito di cittadinanza fosse visto e vissuto come una pioggia di denaro che arriva direttamente dal Governo centrale in pieno stile dirigista. Per far ciò però state togliendo ai comuni e agli enti di prossimità ogni ruolo e funzione, nonostante siano loro i soggetti che storicamente e operativamente sono i più idonei a fornire cura e assistenza alle persone in difficoltà, il naturale punto di approdo per valutare la condizione del cittadino in stato di povertà e provvedere alla sua cura e ai suoi bisogni specifici.

Ridimensionate i comuni ma nel frattempo addossate loro la responsabilità di mettere in piedi un'enorme rete di progetti di utilità sociale - quanto è evocativa questa parola! - senza mai chiarire chi e come potrà organizzarli, con l'impiego di quale personale e fornendo quale supporto logistico a quest'esercito di persone.

Cosa dire, poi, delle categorie più fragili? A gennaio avevate promesso 400 milioni da dedicare ai disabili in questo provvedimento, ma ve ne siete ricordati solo qualche giorno fa stanziandone niente poco di meno che 13 milioni di euro.

I dati ci dicono che la povertà colpisce più facilmente le famiglie numerose, le più esposte al rischio di esclusione sociale, le più vulnerabili al rischio di deprivazione economica. Ebbene, avete deciso di mantenere una scala di equivalenza bloccata che non tiene assolutamente conto di questa realtà e che, anzi, penalizza proprio le famiglie con più di quattro componenti, appunto quelle più bisognose di aiuto, colpendo in particolare i minori.

Proprio ai minori viene tolta tutta quella rete di assistenza ad oggi garantita dai servizi territoriali che assicura loro la possibilità di ricevere servizi educativi e sociali cruciali per un pieno ed effettivo reinserimento in una società del futuro.

E il mio pensiero va anche ai colleghi pentastellati perché quando ci rammentano della vita reale e dei valori del passato dovrebbero ricordarsi che quelle frasi e quelle parole le dicevano i loro alleati di Governo e proprio a loro, agli alleati di Governo, avete ceduto decidendo consapevolmente di discriminare gli esseri umani perché evidentemente qualcuno è convinto che la povertà e i poveri non sono tutti uguali (Applausi dei deputati del gruppo Partito Democratico). Infatti, un povero senza la cittadinanza italiana non vale quanto un indigente italiano! Ricordatevelo, perché questa è la ratio che avete scritto, nero su bianco, in questo provvedimento. Ma così facendo, non avete solo smarrito la vostra anima, ma avete tradito la nostra Carta costituzionale e i valori a fondamento della nostra comunità.

Anche sul fronte del lavoro ci sarebbe molto da dire e i presupposti di un fallimento dell'obiettivo della crescita occupazionale sono evidenti a tutti. Innanzitutto, perché quello che proponete purtroppo non ha nulla a che vedere con una politica strutturale del lavoro ma è la solita cura palliativa, un mix di strumenti con un'efficacia estremamente limitata nel tempo che poco ha a che fare con una soluzione a lungo termine del mercato occupazionale.

Eravate giustamente partiti dalla riforma dei centri per l'impiego, un intervento necessario per favorire l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. Il miliardo di euro, però, che inizialmente avete stanziato in realtà in corso d'opera, si è più che dimezzato; e nessuno ha ancora chiarito come intendete organizzare i centri per l'impiego, nessuno ha capito che ruolo avranno i navigator, a parte la sonorità del termine inglese, quali funzioni svolgeranno, da chi e come saranno coordinati.

Avete invaso il campo delle competenze regionali senza nemmeno avere premura di confrontarvi preventivamente con le regioni, ma raggiungendo un accordo - o meglio, un finto accordo in extremis - che molto probabilmente sarà rimesso in discussione, facendo sorgere contenziosi e rallentando tutto il processo di riforma dei centri per l'impiego. Avete imposto un sistema di processi e strutture che creerà un enorme caos a livello amministrativo e gestionale, scaricando sulle amministrazioni pubbliche territoriali una marea di nuovi adempimenti e controlli, senza prevedere alcuna risorsa aggiuntiva né la dotazione di nuovo personale; anzi, provando a prenderci un po' in giro, prevedendo l'assunzione - chissà poi perché - di personale nel comparto dei beni culturali, di 100 operatori della Guardia di finanza e forse 180 carabinieri.

State approvando un provvedimento che vuole perseguire l'obiettivo della crescita occupazionale, senza nemmeno stabilizzare il personale già impiegato in ANPAL, nonostante le rassicurazioni che voi avete fatto loro in tutti gli incontri che avete avuto in queste settimane; e assumendo circa 3 mila persone con contratti di collaborazione biennale (lo chiarisco a chi non è avvezzo alla materia, quindi contratti precari per definizione), e soprattutto, cosa più grave, attraverso procedure di selezione che sono ancora ignote a tutti: si sa solo che saranno celeri, ma di questa celerità non si sostanzia null'altro.

Avete tolto l'assegno di ricollocazione proprio a quelle persone che sono più pronte a rientrare nel mondo del lavoro, e le state costringendo a ricominciare tutto da capo. Mettete in difficoltà le imprese, che avrebbero preferito di gran lunga interventi più incisivi sui percorsi di formazione dei giovani e dei disoccupati: molte di loro sono più che favorevoli a creare occupazione, ma il tessuto industriale e manifatturiero italiano ha un estremo bisogno di personale con competenze e qualifiche specifiche, e invece troppo poco si è previsto per accrescere il capitale umano disponibile in termini di competenze e formazione utili alle logiche produttive del mondo di oggi e di domani.

Insomma, in conclusione state mettendo in campo uno strumento che, nella migliore delle ipotesi, funzionerà in due modi totalmente opposti: come manodopera a bassa qualificazione sostitutiva di buona e stabile occupazione in quei territori, principalmente collocati nelle aree a Nord del Paese, con un tessuto economico più dinamico e performante; come una politica meramente assistenzialista nei territori dove l'economia è stantia o addirittura depressa, ossia in tante zone del Sud Italia, per le quali nulla è stato realmente fatto in termini di investimenti pubblici.

La sensazione, onorevoli colleghi, è che abbiate sacrificato le potenzialità di questa misura perché vi siete fatti prendere in ostaggio dalla necessità di erogare il reddito prima delle elezioni del maggio prossimo, e così stiamo approvando una legge che distribuisce denaro pubblico mesi e mesi prima che possano essere realizzate le strutture operative che dovrebbero aiutare a trovare un impiego strutturale.

Questa misura non inciderà in modo significativo sulla distribuzione del reddito, né ad invertire la sua polarizzazione, né a garantire la libera scelta del lavoro in opposizione al ricatto della precarietà; ed in quest'Aula, insolitamente semideserta per l'importanza del provvedimento in esame, mi piace pensare che almeno le mie parole restino agli atti a futura memoria, quando arriverà il momento di dirvi: ve l'avevamo detto.